sabato 13 aprile 2013

Quando l’alimentazione è apprendimento


Il cibo è fin dalla nascita uno dei principali mediatori della nostra relazione con il mondo, ci introduce alla vita ed è un modo per entrare in contatto con noi stessi e con gli altri. L’atto del nutrirsi è il primo atto di cura e affetto della madre verso il proprio bambino oltre ad essere l’elemento che favorisce lo stabilirsi di una relazione intima e profonda. 

Dunque uno dei primi contatti del bambino con il mondo è mediato dal rapporto con ciò che lo nutre, un oggetto concreto (il latte e poi via via gli altri alimenti), ma anche colei che è portatrice di quel nutrimento: la mamma. Il nutrimento, di conseguenza non è inteso solo come l’assunzione di cibo, ma in modo più generale come quell’insieme di affetti, umori ed emozioni che influenzano lo sviluppo del bambino. Il modo in cui una madre alimenta il proprio figlio durante la gravidanza segna già la nascita di un legame indissolubile e contribuisce alla formazione dei processi gustativi e olfattivi. Diversi studi condotti su donne in gravidanza di etnie diverse, e quindi con culture alimentari diverse, hanno dimostrato che i sapori del cibo con il quale queste donne si alimentano viene trasferito al feto attraverso il liquido amniotico che viene poi ingerito e trasformato in latte. Questi sapori condizionerebbero l’accettazione e il gradimento sia del latte al seno sia, successivamente del primo pasto solido. Il feto dunque custodirebbe a livello della memoria sensoriale l’esperienza olfattiva e gustativa vissuta con la madre durante la gestazione mentre il futuro neonato, riattivando il ricordo sensoriale, ne verrebbe direttamente influenzato. Questo imprinting, sia olfattivo che gustativo, è molto importante poiché evidenzia l’importanza del ruolo della madre che attraverso l’allattamento influenza le future abitudini alimentari del proprio figlio. Cosa succederebbe se durante il periodo di apprendimento sensoriale del feto le madri cambiassero regime alimentare e si affidassero ad una alimentazione “pianificata” come quella dei fast food? probabilmente trasmetterebbero segnali ai recettori sensoriali del feto che potrebbero con il tempo condizionare la scelta, rendendo così più facile adeguarsi i nuovi modelli alimentari. Questa ipotesi si rifà alla teoria di Leath Wood e Ashley degli anni Ottanta con la quale sostenevano che “esiste una preferenza innata, che, unitamente ad una interazione con l’ambiente, poteva essere in grado di modificare il metabolismo dei neurotrasmettitori e giocare un ruolo nella scelta del cibo”.

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